Bitter sweetness - My name is Barbera

La scorsa settimana, uno dei miei autori preferiti, Eric Asimov, wine-critic del New York Times (a cui si deve uno dei libri che tratto nel mio seminario sulla wine communication presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Slow Food a Bra, in Piemonte, non lontano da quel Monferrato dove cresce la Barbera d’Asti), ha scritto a proposito della “bitterness” del vino.

E si, uno dei vini che lui prende ad esempio è proprio la Barbera d’Asti.

“I find the welcome sort of bitterness most often in Italian reds”, ha scritto nella sua rubrica settimanale dal titolo “For a Sweet 2020, Look to the Bitter in Wine.
It doesn’t matter which region or what grape, it seems to cut across, whether Valpolicella of the Veneto, Barbera d’Asti of the Piedmont, Chianti Classico of Tuscany, the Aglianicos of Campania or the Etna Rossos of Sicily.
Stay aware of the flavors that make so many red wines so delicious” conclude “as well as other foods. Perhaps we can make 2020 a bitter year, and I mean that in the best possible way.”

Eric Asimov è uno dei migliori assaggiatori che abbia mai incontrato, grazie anche ad una conoscenza del vino enciclopedica. Per questo sono felice che abbia menzionato la Barbera d’Asti. E non una generica Barbera, ma proprio la Barbera d’Asti.

A mio avviso questo è un chiaro segnale che ormai la Barbera d’Asti è saldamente considerato alla stregua dei più importanti vini italiani. Meritatamente aggiungerei! Per molti anni questo vino è stato erroneamente sottovalutato dai consumatori americani. Per questo è significativo che una delle voci più autorevoli del vino americano lo abbia inserito in una lista che ricomprende alcuni dei vini italiani più importanti e di tendenza.

Non riesco a pensare a un modo migliore per gli amanti della Barbera d’Asti di iniziare il 2020!

Grazie per essere stato con noi durante questo 2019 ormai giunto al termine. Ti auguro un fantastico 2020. Al prossimo anno!