Come una vigna può cambiare il destino di un vino.
Cru. Cosa mai significa questa parola?
La sua origine è francese, letteralmente ‘crescita’. Per gli appassionati di vino però il cru altro non è che uno specifico vigneto, alle volte anche molto piccolo, dove si produce l’uva con cui una determinata etichetta è realizzata.
Se osserviamo alla Francia del vino scopriamo che è piena di cru. I migliori vini di Bordeaux e della Borgogna lo sono. A tal proposito ricordiamo che il sistema francese delle AOC, simile a quello italiano incentrato sulle DOC, si basa sul presupposto che esista una gerarchia qualitativa tra i vini. Una sorta di piramide, dominata dai Grand Cru (la massima espressione dei vini francesi, etichette prodotte solamente con le uve provenienti dai migliori cru), seguiti dai Premier Cru, dalle Village Appellations ed infine dalle Regional Appellations, etichette che possono essere prodotte con uve coltivate nell’intero territorio della Denominazione.
In Italia questo sistema manca, anche se negli ultimi anni la legislazione ha consentito di indicare in etichetta la menzione geografica aggiuntiva – MGA. Particelle di vigneto ben identificate, tra le quali però non intercorre alcuna gerarchia come invece accade in Francia.
A questo mancato approfondimento del significato normativo di cru, si contrappone il crescente potenziale che tali designazioni hanno. Se negli ultimi venti anni la popolarità del vino italiano negli USA è enormemente cresciuta, non da meno sono stati i cru, il cui valore commerciale è esploso. Gli americani, si sa, sono un popolo meticoloso, e amano sapere da quale vigneto proviene il vino che stanno bevendo (a breve scriverò un post sull’argomento).
Tutta questa premessa solo per dirvi che, nella storia del vino italiano, uno dei primi cru inseriti in etichetta lo si deve alla Barbera d’Asti. Non importa quale sia il produttore. Ciò che conta è che, molti anni prima che i cru facessero la fortuna di importanti denominazioni italiane, un produttore di Barbera d’Asti decise di menzionarne uno in etichetta. Correva l’anno 1975.
Non molto tempo dopo fu la volta di un secondo produttore di Barbera d’Asti.
Il resto è semplicemente storia.